domenica 9 febbraio 2014

fuga da Alprazolam - la sovrastimata sicurezza dell'infisso a battente




120 euro erano una bella fetta dei suoi miseri averi, ma Foco pensò che avere una guida a disposizione per tutta la durata del viaggio fosse una buona idea, considerando che era un malato psichico in un posto di cui aveva scoperto il nome della capitale solo leggendo la destinazione sul biglietto aereo, perdipiù a cinque ore di fuso orario da casa.
L'autista era un ometto grassottello sulla cinquantina con la faccia simpatica e un riporto da progetto approvato in comune.

"Ciao, i'm Foco, what's your name?"
"My name is Charlie, sir."

Mentre parlava, l'ometto, dondolava curiosamente la testa. Come cani pupazzo nelle macchine di qualche anno prima.

"Ma che c'hai? Ok, Charlie, non me lo ricorderò mai...i'll rename you "Coso"."
"No, sir, my name is Charlie. Charlie!"
"Ma che c'hai un problema al collo? Che cazzo te dondoli? Ok, Coso, let'go to the car."

La macchina era una Volkswagen "Passat" ,di una ventina d'anni circa, di un colore blu con delicate striature ruggine. Dal culo dell'auto spuntava un'antenna da baracchino storta e lunga una metrata e mezzo, mentre l'interno del lunotto e del parabrezza erano decorati da spiritose lucine tipo quelle dell'albero di Natale. Il cofano invece presentava un elegantissimo adesivo gigante che rappresentava un'aquila ad ali spiegate ritratta nel momento di ghermire un'ipotetica preda.
La visione del mezzo ricordò a Foco che era l'ora dell'ansiolitico.

"How many Kilometres for Hikkaduwa?"
"Oh, one hundred and fortyseven,sir."
"Centoquarantasette...two hours?"
"I hope, sir."
"Come "i hope"?"

L'impatto con lo stile di guida cingalese fu per Foco a dir poco traumatico, nonostante l'ansiolitico.
La prima cosa che notò fu il fatto che ,per i locali, la segnaletica orizzontale non era altro che un bizzarro ornamento sulla strada asfaltata. Destò curiosità anche la loro diffusa credenza che suonando il clacson praticamente senza soluzione di continuità, si potesse ovviare all'uso del pedale del freno.
Sballottato nel sedile posteriore come una parte di vodka nello shaker, Foco, poté vedere ben poco della città. Il fatto, poi, che Charlie ,per rispondere alle sue domande ,avesse l'abitudine di girarsi, lo convinse che era molto meglio che si facesse i cazzi suoi.

Dopo circa mezz'ora ,e almeno quattordici scampati disastri statali, erano fuori dalla capitale, su quella che la Lonely Planet identificava come la lunga strada litoranea che univa il nord dello Sri Lanka al sud. Una lunga vena d'asfalto che ricalcava il profilo occidentale dell'isola e che rappresentava la via di comunicazione principale del paese.
Oltre veniva sconsigliato di andare in quanto il paese era ancora nel pieno di un conflitto che vedeva come attori il governo e le Tigri Tamil. Tamil che, in pratica, detenevano poco meno della metà delle coste, quasi tutte ad est.
Il paesaggio urbano, fatto di palazzi, case e negozi che sembravano buttati lì un po' a caso, tra il grigio del cemento e i colori sgargianti degli addobbi e dei cartelloni pubblicitari, aveva lasciato spazio a muri di vegetazione selvaggiamente rigogliosa inframmezzati momentaneamente da piccoli villaggiucoli fatti perlopiù di baracche. Sui bordi della strada umanità povera ma dignitosa era intenta a lavorare, pascolare animali o semplicemente vivere la sua giornata.

Dopo un'ora e trequarti, però,del mare nemmeno una cartolina. Cosa strana per una strada costiera.

"Cos...Charlie, ma sei sicuro che la sai la strada? Are you shure we're going to Hikkaduwa?"
"Yes, sir, Hikkaduwa, sir."
"But, is this the quikest route?"
"Oooh, i hope sir?"
"Come "i hope" ?"


Dopo quattro ore di viaggio, Foco, era diventato un po' nervoso.

"Ma dove cazzo stiamo andando, a Coso? HOW MUCH FOR 'STA CAZZO DE HIKKADUWA?"
"Oh, another two hours,sir."
"TWO HURS? Ma che avemo imboccato un buco nero? Centoquarantasette chilometri in sei ore e perdipiù a tavoletta? Coso, tell me the truth, is the first time you go to Hikkaduwa?"
"Oh no, sir, noooo. Is the third at least!"

Il blister degli ansiolitici era diventato una grossa tentazione.

Dopo un'ora e mezza ,all'improvviso ,la vegetazione sulla destra della strada si aprì regalando una delle visioni più belle della vita di Foco. L'oceano saturava il panorama di un blu intenso, striato dal bianco della spuma formata da onde alte come non aveva mai visto, mentre Il cielo gli dava una continuità perfetta, abbassando solamente di poco la tonalità ma ampiandone , grazie alla luce di una giornata bellissima, la percezione della grandezza.
Foco si domenticò quasi all'istante della scomodità e della lunghezza del viaggio e fu pervaso da un senso di stupore e di benessere del quale lui, però, diede merito allo psicofarmaco.
Pochi chilometri dopo una continuità di case e costruzioni gli fece capire che erano arrivati. 
La prima cosa che fecero fu cercare una sistemazione per dormire. Dopo essere stati rimbalzati da almeno tre alberghi e quattro guest house, grazie alle indicazioni telefoniche a distanza dell'ufficietto di Colombo, trovarono una camera disponibile in un hotel dall'aspetto decisamente scalcinato.
La tariffa giornaliera era di 900 rupie cingalesi e, considerando di allora diceva che un euro valeva quasi centocinquanta rupie, Foco la trovò ottima. Almeno gli garantiva due pasti al giorno e le sigarette.
Charlie si congedò, sempre dondolando la testa, e gli lasciò il numero da chiamare in qualsiasi momento avesse deciso di spostarsi. Decisione che andava pianificata bene, pensò Foco, visti i tempi di tragitto del tassista.
Salutata la guida, si fece consegnare le chiavi della stanza e ne prese possesso.
L'impressione che ne ebbe superava di gran lunga le aspettative, fuorviate dall'esterno fatiscente dell'albergo.
La camera era spaziosa e pulita, con un enorme letto in legno al centro coperto da una zanzariera che scendeva dal soffitto a mo di tenda da circo. Un enorme porta-finestra protetta da persiane apriva lo sguardo ad una vista bellissima sull'oceano, che in pratica distava poche decine di metri. Era al piano terra e ,appena fuori, un giardinetto con tavolino sotto le palme da cocco prometteva colazioni rilassanti e dopo-sbornia rigeneranti. Un bagno spartano ma con doccia ricordò a Foco che non si lavava da quasi un giorno.
Fresco di doccia si rilassò sull'enorme letto fino a quando lo stomaco non gli fece notare che era vuoto da troppo tempo. Prese una ventina di euro dal marsupio, si infilò una delle tre magliette sdrucite che portava nello zaino ed uscì a scoprire la città. 
Da buon italiano preferì non lasciare la chiave in reception, decidendo di portarla via anche se l'enorme portachiavi di legno a forma di tonno era decisamente ingombrante.

Hikkaduwa si presentò come una città che viveva attorno alla strada principale. Dal lato del mare si ergevano perlopiù hotel e negozietti, mentre il lato opposto, quello che sembrava poi sparire tra le vegetazione semi-giunglesca, alternava bancarelle ad abitazioni, gest house e uffici più o meno pubblici. Gli alberghi erano per qualsiasi tasca, dai resort per turisti facoltosi a poco attraenti ammassi di legno e cemento dall'aria instabile che sembravano brulicare di ragazzi con lo zaino.
I negozietti locali erano perlopiù baracche dove veniva venduto praticamente di tutto. C'era chi offriva il meglio della frutta locale, chi per poche rupie ti faceva una camicia secondo la moda del posto su misura e per pochi spiccioli, chi aveva un pò di tutto, dagli alimentari alle pinne da sub. La cosa che colpì più Foco fu il gran numero di venditori di "gems", gemme preziose, praticamente presenti dappertutto.
Decise di cambiare i venti euro in moneta locale e lo fece in una specie di capanna su cui era affissa una tavola di legno con scritto "Change". La capanna sull'esterno, fatto di tavole vecchie e quasi schiodate, presentava anche un bancomat. Mentre Foco ragionava sulla felicità che avrebbe creato tra la comunità dei ladri italiani uno sportello del genere, l'ometto all'interno di quello strano ufficio cambi inforcò un paio di occhialetti e dopo un rapido calcolo con una calcolatrice di quelle col rotolo di carta, trasformò i venti euro in un mazzo di coloratissime banconote alto almeno tre centimetri.
In un chioschetto gestito da una vecchissima signora, Foco, placò la fame con una specie di piadina poco cotta ripiena di carne di pollo e spezie piccantissime. Il Roti, il nome della pietanza, gli costò l'equivalente di trenta centesimi di euro e gli sembrò delizioso. 
La via principale era molto affollata, tra i locali spuntavano grosse macchie di rosa pallido, costituite da turisti tedeschi dall'aria piuttosto anziana, giovanissimi branchi di inglesi e australiani riconoscibili per la muta da surf. C'erano anche diversi giapponesi, ma di italiani neanche l'ombra.
Scese verso la spiaggia sorseggiando una "Lion beer" ghiacciata e si fermò a bearsi di quel paesaggio. La sabbia era gialla, finissima e compatta, le palme regalavano angoli in cui potersi riparare per un po' dai quaranta gradi che la stagione regalava. L'oceano riempiva gli occhi e le sue onde portavano in groppa decine di ragazzi con la tavola. La barriera corallina, in alcuni punti, iniziava pochi metri dopo il bagnasciuga, rappresentando una manna per gli amanti dello snorkeling ed un pericolo per chi si avventurava senza scarpe sulle sue zone morte.
Foco pensò che sfuggendo dall'inferno, per una botta assurda di culo, fosse capitato in paradiso.

Dopo un paio d'ore, però, la stanchezza di un viaggio così lungo si presentò a chiedere il conto e decise di tornare in albergo per riposare almeno fino all'ora di cena.
Infilò la chiave, aprì la porta della camera e si accorse che qualcosa non quadrava.
C'era molta più luce di prima ed entrava anche la brezza marina. Andò per chiudere la persiana, che ricordava già chiusa, e si accorse che era fuori dai cardini. 
Subito il cuore si mise in modalità tachicardia. Corse verso il letto dove aveva lasciato in bella vista il marsupio e si rese conto della merda che lo stava per sommergere.
Gli psicofarmaci ed il passaporto erano ancora lì, ma dei soldi nemmeno l'ombra. 
Rivoltò lo zaino per vedere se si fosse magari dimenticato di averli spostati, ma non l'aveva fatto.
Rubati.
Qualcuno aveva raggiunto dalla spiaggia la sua camera al piano terra e ,dopo aver divelto senza fatica la persiana, aveva portato via solo quello che gli interessava. E ,considerando che uno stipendio medio cingalese era ,all'epoca, di circa sessanta euro al mese, si era assicurato un discreto sussidio per un bel po'.
Dopo una decina di minuti di un terrore paralizzante, Foco sentì montare una rabbia violenta.
Si fiondò urlando nella reception e investì il gestore dell'albergo di insulti misti italiano/anglofoni.
Quattro ragazzi del personale dell'albergo, richiamati dalle urla, accorsero subito in aiuto del titolare e bloccarono di forza l'esagitato italiano. Quando la calma fu riportata aldisotto del livello di guardia, Foco ,spiegò ringhiando l'accaduto e tutti e sei si diressero verso la camera.
Esaminati i fatti, il gestore dell'albergo espose la sua verità:  si era inventato tutto perché non aveva mai avuto soldi con sé. Elaborato l'incerto inglese del cingalese, Foco sentì il sangue diventare lava la certezza delle conseguenze non lo aiutò certo a calmarsi.
Prese l'uomo per il collo e lo scaraventò sul letto per poi avventarglisi addosso. La zanzariera si staccò con tutto il gancio dal soffitto imprigionando i due come due tonni nella rete. Non riuscendo a separarli i ragazzi corsero a chiedere aiuto e dopo cinque minuti nella stanza c'erano più di dieci persone. Riuscirono con fatica a strappare via l'incazzato turista e lo bloccarono su un'angolo della stanza. Intanto il gestore ormai liberato gli urlava contro in lingua madre e due inservienti gli riempivano lo zaino con le sue cose.
Dopo una manciata di minuti, Foco, fu buttato a spintoni in strada insieme alle sue cose. Sei persone si fermarono davanti alla porta per impedirgli di rientrare, mentre attorno all'entrata dell'hotel si era formato un capannello di turisti e locali curiosi.
Foco esplose in un paio di ultimi "fuck off" misti a bestemmie e poi crollò seduto sul ciglio della strada opposto all'hotel. Le mani nei capelli, qualche  migliaio di rupie in tasca e nessuna idea di cosa sarebbe stato di lui di lì ad un'ora.
Prese dal marsupio il blister degli ansiolitici, ne tirò fuori uno e ,dopo averlo osservato per cinque minuti buoni, lo scagliò verso il lato opposto della strada.

lunedì 3 febbraio 2014

fuga da Alprazolam - il volo










L'idea del viaggio fece passare le feste natalizie senza grosse paranoie e anche piuttosto velocemente.
Il giorno della partenza arrivò quasi all'improvviso e davanti al terminal 3 Foco si rese conto di non essersi minimamente informato su cosa l'aspettasse alla fine di dodici lunghe ore di volo. Si, aveva letto da qualche parte che lo Sri Lanka era la vecchia Ceylon, quella lacrima di terra appena sotto l'India, ma , a parte questo, per quello che ne sapeva poteva pure atterrare a Paperopoli.
Confidò nella Lonely Planet , mai aperta, che aveva comprato il giorno in cui fece il biglietto, prese un ansiolitico e cercò di non dar peso a quella lieve tensione che sembrava risalirgli dalla spina dorsale fino alla base del collo.
Una cosa la sapeva: c'era il mare. 
Cosa che, essendo lo Sri Lanka sostanzialmente un'isola, gli era parsa subito molto probabile.
Questa solitaria ma importantissima informazione lo aiutò nella scelta del vestiario per il viaggio.
Nello zaino, gentilmente messo a disposizione dal cognato, Foco aveva messo nell'ordine:
Un costume
Cinque paia di mutande
Due asciugamani
Tre T-shirt vecchie ma a cui era molto affezionato
I jeans, le Nike e una maglia della Francia che indossava completavano l'argomento vestiti.
Il resto del bagaglio si riduceva ad un marsupio in cui teneva i preziosissimi psicofarmaci, due pacchetti di Gauloises, un flaconcino d'Amuchina ( che non si sa mai), passaporto e il portafoglio con la ragguardevole cifra di 400 euro.
Insomma, tutto il necessario per un viaggio di quasi un mese in un posto a 7600 chilometri di distanza da casa.
S'imbarcò su un aereo della Kuwait Airlines che era già pomeriggio. I passeggeri gli sembrarono quasi tutti stranieri, perlopiù asiatici e mediorientali, e pensò che fosse tutta gente che tornava a casa approfittando delle tariffe basse post-festività. L'undici settembre e le torri gemelle erano un ricordo ancora molto fresco, ma il fatto che si andasse da occidente verso oriente era un buon motivo per stare relativamente sereni. Vicino a lui, dalla parte del finestrino, sedeva un indiano che non sembrava particolarmente a suo agio. In mano aveva una serie di statuine, tra cui un piccolo Ganesh, che toccava e baciava di continuo cantilenando in un presumibile hindi. 
Al momento di allacciare le cinture il poveraccio si buttò all'indietro artigliando i braccioli e durante la fase di rullaggio il suo viso perse il suo colore standard marroncino/olivastro a favore di un beige/verdino.
Il decollo gli fu fatale ed il suo stomaco decise per un rilascio di tutto il suo contenuto. 
Foco non lesse mai la prima pagina della Gazzetta dello Sport acquistata al duty free. 

"Sorry, sir! I'm very, very sorry!"
" De niente, indià, tanto della Fiorentina non scrivono mai un cazzo...tiè, magnate una gomma però!"

La prima parte del volo pareva lunghissima. I film a disposizione erano solo in lingua originale e Foco non riusciva a concentrarsi nella visione, un po' per il pensiero del viaggio, un po' perché ad ogni piccola scossetta del volo il suo vicino scattava scompostamente come un gatto ad una mostra canina. Provò a chiedere un alcolico alle hostess, ma gentilmente gli fecero capire che non si poteva andare più in là di una coca o di aranciata. Provò a vedere se in prima classe magari era avanzato del whisky, ma poco gentilmente gli fecero capire che aveva pagato al massimo per la coca o per l'aranciata. La noia fu interrotta dalla cena, una luculliana cacatina di carne di pollo o di agnello con mini dessert in vassoietti di plastica, e da una breve turbolenza che ebbe sul vicino indiano un effetto lassativo con l'aggravante delle cinture obbligatoriamente allacciate.

"Sorrysorrysorrysorrysorry,sir!"
"De niente, indià, è un piacere viaggià con te...quando te vuoi rifà un giretto chiamame ,me raccomando...(vaffanculo)"

Poi dal bel mezzo di un nulla giallo ocra fatto di sabbia e pozzi di petrolio, apparve l'aereporto del Kuwait.
Lo scalo durò un paio d'ore. L'aereporto di Kuwait City era veramente brutto, piastrellato come un ospedale e anonimo nei negozi e nella struttura. Foco pensò che fosse stato rifatto in fretta e furia dopo la guerra del Golfo e che avessero badato alla funzionalità invece che ad uno sfarzo da paese ricco. La cosa positiva era che si poteva fumare e dopo ore senza nicotina quella era veramente una gran notizia. Il tempo di prendere un caffè ristretto all'italiana del costo di una bistecca di chianina, di cercare inutilmente qualsiasi forma di quotidiano italiano e di espletare qualche funzioncina corporale ed era già ora di reimbarcarsi.
Al check in una voce dietro di lui fece rabbrividire Foco.

"Siiiir! Siiiiiiiiiir! We're togheter again, sir!"
"Indià, evatteneaffaculo! Poliziò, that man io penso is a terrorist, vedi di arrest him!"

Fortunatamente il volo per lo Sri Lanka era quasi vuoto e Foco poté trovarsi  una coppia di posti liberi tutti per lui e a metri di distanza da qualsiasi indiano. Sul volo conobbe una coppietta di Bologna in viaggio di nozze con lo zaino. Armati di santa pazienza gli diedero qualche informazione su cosa ci fosse alla fine di quel volo. A sentire i due lo Sri Lanka era un paradiso con spiagge bellissime ed un entroterra dolce e popolato da persone gentili.
Foco pensò che aveva avuto un gran culo, se fosse stato un posto di merda non sarebbero stati venticinque giorni facili.
Il volo, tra qualche oretta di sonno e le chiacchiere con la coppietta, filò in maniera gradevole. Prima di scendere le hostess consegnarono a tutti un cartoncino informativo sulle leggi dello Sri Lanka da leggere e da firmare. Foco, in particolare, fu colpito dalla punizione riservata per chi veniva beccato a far uso o a vendere droga o a chi sfruttava o si serviva della prostituzione. Per questi casi la pena contemplata era quella di morte. Dopo aver riletto quattro volte per essere sicuro di aver ben interpretato lo scritto, Foco ragionò sul fatto che i cingalesi ,per essere gente gentile, quando si incazzavano, si incazzavano per bene.
Una volta sbarcati, i bolognesi si accommiatarono ricordando a Foco piu volte il numero dell'ambasciata italiana, mentre lui non ebbe il coraggio di invitarli a fare una parte del viaggio insieme.
L'aereoporto di Colombo faceva quasi tenerezza per quanto era piccolo e scarno. Ricordava più una stazione della metro di Roma.  Appena fuori una mandria di guidatori di tuk tuk assaliva i turisti cercando un'esclusiva per il trasporto in città. Gli argomenti per convincere i turisti maschi erano infarciti di "to fuck", "smoke", "joint" e "young hot girls". Il ricordo ancora fresco del cartoncino firmato in aereo ,però, pareva ancora fare effetto su quasi tutti.  Colombo non sembrava un granché, perlomeno in quella parte della città. Era mattina presto ma il traffico era già caotico. Gli alberi che spuntavano tra le case erano pieni di corvi gracchianti. Centinaia di corvi. Milioni di corvi.
Un piccolo ufficietto turistico sembrò una buona idea per orientarsi in quel mondo sconosciuto, la coppietta aveva parlato di un bel posto sull'oceano. Dopo mezz'ora nell'ufficio, Foco ne uscì con un contratto: per 120 euro aveva a disposizione un taxi che l'avrebbe portato in qualsiasi posto avesse voluto visitare per tutta la durata del viaggio. La prima tappa era la città di cui gli avevano parlato i bolognesi : Hikkaduwa.